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Registro Nazionale della Sindrome di Dravet e altre Sindromi correlate a Mutazione dei Gene SCN1A e PCDH19

La Sindrome di Dravet

• La sindrome di Dravet è una rara forma di epilessia, accompagnata da disturbi dello sviluppo neurologico, che si presenta nel primo anno di vita in lattanti che fino a quel momento hanno goduto di buona salute.

• È stata descritta per la prima volta nel 1978 con il nome di “Epilessia Mioclonica Severa dell’Infanzia” (EMSI), dalla dottoressa Charlotte DRAVET e da allora ampiamente studiata da vari autori in molti paesi (Italia, Giappone, etc.).

• La sua reale frequenza nella popolazione è ancora sconosciuta. Nel 1990 si è stimato che la sindrome colpisca da 1 su 20.000 a 1 su 40.000 lattanti ma questa cifra è probabilmente sottovalutata perché la malattia a quell’epoca non era ancora ben conosciuta.

• Sembra essere più comune nei maschi che nelle femmine, senza ripartizioni geografiche particolari.

Come si presenta la sindrome di Dravet?

I segni della malattia sono relativamente stereotipati ma possono variare da un bambino all’altro. Le crisi cominciano sempre prima dell’anno di età, in un bambino con sviluppo psicomotorio normale. Nella maggior parte dei casi, si tratta di crisi convulsive (cloniche o tonico-cloniche), in corso di febbre, generalizzate o interessanti principalmente una sola metà del corpo (unilaterali). Le crisi sono spesso di lunga o lunghissima durata (anche più di un’ora) e richiedono pertanto un trattamento d’urgenza (somministrazione rettale o endovenosa di un anticonvulsivo). In presenza di un tale quadro clinico la diagnosi iniziale potrebbe essere quella di convulsioni febbrili ma davanti al ripetersi e al prolungarsi delle crisi è necessario pensare alla sindrome di Dravet. Nelle settimane e nei mesi seguenti le crisi diventano frequenti e si presentano anche senza febbre o con febbre molto moderata (tra 37 ̊C e 38 ̊C). Possono realizzare stati di male epilettici. Altri tipi di crisi compaiono nei primi anni di vita: crisi miocloniche, assenze atipiche, crisi focali. Possono essere provocate da fattori ambientali: illuminazione eccessiva o intermittente, patterns (motivi geometrici regolari, righe, linee punteggiate...), sforzo fisico, eccitazione... Durante il secondo anno di vita compaiono frequentemente ritardo dello sviluppo psicomotorio e disturbi del comportamento, più o meno importanti a seconda dei soggetti. Si tratta prima di un ritardo nel linguaggio e successivamente di un ritardo più globale. Il bambino può anche presentare problemi comportamentali (iperattività, nervosismo, disattenzione) e difficoltà di comunicazione che rendono difficile la socializzazione. Si osservano spesso anche disturbi motori o atassia: andatura scoordinata, gesti fini imprecisi, tremori alle estremità. Successivamente possono presentarsi disturbi del sonno e problemi ortopedici (cifoscoliosi, piedi piatti). Nella seconda infanzia (a partire da 4-5 anni di età) ed in seguito nell’adolescenza, la situazione di norma migliora con riduzione, talvolta scomparsa, delle crisi focali, delle assenze atipiche e delle crisi miocloniche, mentre permangono le crisi convulsive. Esse si presentano tendenzialmente all’inizio o al termine della notte. Possono raggrupparsi in serie, per periodi, ma gli stati di male epilettici sono più rari. Sono sempre sensibili alla febbre ma gli episodi febbrili diventano molto più rari. Anche i disturbi psicologici si stabilizzano. Le acquisizioni continuano lentamente o riprendono se ci sono stati momenti di regressione. Il deficit cognitivo permanente varia, da moderato a grave, a seconda dell’evoluzione osservata nei primi 3-4 anni di vita. L’instabilità si attenua e lascia posto a una grande lentezza con comparsa di perseverazioni. La comunicazione rimane spesso difficile e talvolta si osservano tratti autistici. Il livello del linguaggio corrisponde al livello intellettuale globale ma la comprensione rimane migliore dell’espressione.

Esiste un debole rischio di decesso precoce, legato alle infezioni respiratorie, agli incidenti (annegamento), agli stati di male e alla morte improvvisa inspiegata. Ma la maggior parte dei bambini affetti raggiunge l’età adulta. Il loro grado di autonomia dipende dal livello di apprendimento e dalle loro possibilità di comunicazione.

Dato il recente riconoscimento della sindrome di Dravet, la sua evoluzione a lungo termine è poco nota. E’ tuttavia incontrastabile che una diagnosi più precoce con una presa in carico terapeutica più adeguata conferisca un’evoluzione sempre più favorevole.

Quale è la causa della sindrome di Dravet?

EEra sconosciuta fino al 2001 perché tutte le indagini complementari risultavano negative (TAC, Risonanza Magnetica (RMN), ricerche metaboliche...). Dal 2001, si sa che la malattia è associata a un difetto genetico. Si tratta di una mutazione del gene SCN1A o di una microdelezione che coinvolge il medesimo gene, portatore della subunità 1A del canale del sodio. Questo gene regola le funzioni dei canali attraverso i quali passano gli ioni di sodio nel cervello, che svolgono un ruolo molto importante nel suo funzionamento. Le mutazioni disturbano questo funzionamento, provocando le crisi.

Mutazioni di questo gene esistono anche in altre forme di epilessia, pur non essendo dello stesso tipo. Si tratta di forme più lievi (epilessia generalizzata con crisi febbrili plus, più nota anche come GEFS+). Nella stragrande maggioranza dei casi nessuno altro membro della famiglia soffre di questa sindrome perché si tratta di mutazioni “de novo”. Ciò significa che le mutazioni non sono trasmesse dai genitori ma si formano (o sopravvengono) nell’embrione durante la vita intrauterina.

È necessario sapere che una percentuale non trascurabile (25%) di bambini affetti da sindrome di Dravet tipica non è portatrice di questa mutazione. Come per altre malattie genetiche, ciò significa semplicemente che esistono altre mutazioni probabilmente non ancora scoperte.

Allo stato attuale delle nostre conoscenze, ciò non cambia la prognosi. Persistono molte incognite e le ricerche continuano attivamente in molti centri specializzati sparsi nel mondo intero.

Come diagnosticare la sindrome di Dravet?

La diagnosi deve essere stabilita su basi cliniche. L’età di esordio delle crisi, il loro ripetersi nonostante il trattamento, l’assenza di cause rilevabili (TAC, RMN...), il normale sviluppo iniziale, l’assenza di segni elettroencefalografici (EEG) di un’altra malattia o la presenza di fotosensibilità sui tracciati EEG devono far pensare a questa diagnosi a partire dai primi mesi dell’evoluzione. Un’analisi genetica può essere proposta al momento della diagnosi ma è risaputo che il risultato negativo della stessa non può escluderla. Non è quindi necessario attendere la risposta per prescrivere il trattamento più appropriato e ciò nel più breve tempo possibile. Non sono sempre presenti tutti i tipi di crisi. In particolare, le crisi miocloniche possono essere completamente assenti o molto rare. Si tratta delle forme di “confine”, cosiddette “borderline”. Anche in queste forme sono presenti delle mutazioni, probabilmente meno frequenti e di minor gravità. La prognosi è la stessa e devono essere trattate alla stessa maniera. In alcuni bambini, lo sviluppo psicomotorio sembra normale ed imparano a parlare quasi normalmente. Tuttavia ciò non esclude la diagnosi. È nel corso dell’apprendimento scolastico (lettura, scrittura, aritmetica) che le difficoltà rischiano di apparire e che i test metteranno in evidenza un deficit cognitivo leggero o moderato.

Come viene trattata la sindrome di Dravet?

Il solo trattamento possibile è un trattamento sintomatico, ossia quello delle crisi. Sono stati utilizzati molti farmaci antiepilettici. Nessuno di essi ha consentito il controllo completo delle crisi, perlomeno nei primi anni, ossia il periodo attivo dell’epilessia.

Un’associazione di vari farmaci è abitualmente necessaria, in particolare una triterapia. Bisogna sapere che, così come per altre forme di epilessia, alcuni antiepilettici possono aggravare le crisi invece di ridurle e questi farmaci sono noti ai medici.

È necessario evitare le infezioni ripetute e trattare gli episodi febbrili in maniera adeguata. Bisogna saper utilizzare i prodotti per via rettale o endovenosa al fine di evitare gli stati di male epilettici.

Esistono delle alternative che però, per il momento, non si sono di- mostrate efficaci per un numero sufficiente di pazienti: dieta chetogena, stimolazione del nervo vago, immunoterapia (gamma globuline). Non esistono interventi chirurgici possibili per questa sindrome perché l’epilessia è al contempo multifocale e generalizzata.

In futuro si può sperare che una migliore conoscenza delle anomalie genetiche, delle funzioni delle varie proteine implicate e della loro influenza sui meccanismi che scatenano le crisi permettano di selezionare i farmaci su basi più razionali.

La presa in carico dei disturbi associati è indispensabile, possibilmente da parte di un’équipe specializzata che conosca i problemi delle epilessie a comparsa precoce. Valutazioni regolari eseguite con l’ausilio di test psicometrici aiutano ad adattare i metodi educativi ed, eventualmente, riabilitativi (psicomotricità, kinesiterapia, logopedia), mentre un sostegno psicologico permette di aiutare i bambini e i loro genitori a gestire questa epilessia così pesante nella quotidianità, per la presenza di frequenti crisi che compromettono la qualità della vita.